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FINE DEL BIPOLARISMO?

Dal fallimento di un'illusione, una nuova stagione per l'Italia

La rottura del PdL, al di là delle inevitabili personalizzazioni e degli strascichi ancora tutti da scoprire e godere, segna una cambio epocale nella poltiica italiana. La fine del bipolarismo, la fine dell'idea che tutta la politica italiana fosse riconducibile a due poli e che in ciascuno di questi si dovesse lavorare per il partito unico, quello che avrebbe finito per essere il polo stesso, inglobandone via via le varie componenti e riducendo ai minimi termini le forze politiche che non si schieravano o che i partiti maggiori non ritenevano degne di far parte del polo.

Cominciò il centrosinistra componendo l'Ulivo - nella sua prima edizione formato da PDS, Verdi e Popolari, dunque dagli eredi dei partiti di massa e dall'emergente ambientalismo - una aggregazione che era di più di una coalizione elettorale  edi meno di un vero e proprio partito. L'idea dell'Ulivo da sempre fu quella di superare se stesso per divenire la forza politica progressista del futuro: il Partito Democratico.
In molti - anche io ci ho creduto a lungo e ci ho anche messo delle energie e delle aspettative, tutte puntualmente deluse - celebrammo la nascita del PD come il compimento del processo che aspettavamo da almeno 10 anni, capace di cambiare la politica italiana e di innovare questo nostro paese cantando una canzone davvero nuova.

Com'è andata a finire si sa, è sotto gli occhi di tutti il processo di sfaldamento del partito, fra abbandoni, lotte furibonde fra correnti, inciuci e fughe in avanti, in un consumarsi di leaders.
I Verdi sono spariti (non come altrove in Europa) la sinistra sinistra non c'è più e nemmeno un leader carismatico e di successo come Vendola riesce ad essere di traino al suo partito. Italia dei Valori è in procinto di farsi cannibalizzare da Grillo, in ogni caso appare ancora alla ricerca di una identità che superi il personalismo di Di Pietro.

Qualcosa del genere è accaduto nel centrodestra; lì il successo del processo di progressiva unificazione sembrava assicurato dalla presenza di un leader carismatico, con soldi in quantità da permettergli di comperarsi chiunque, scaltro e immorale nella giusta misura per restare a galla in tuttte le occasioni, riverito da una corte di servi progressivamente sempre più ampia anche nel mondo della stampa libera, in quello delle professioni e perfino in quello delle arti.
Era evidente da subito che nel PdL c'erano due destre: una legalitaria, con un forte senso dello stato e l'idea che le regole servono a realizzare una società ordinata, capace di sintesi fra diritti individuali e bene comune, liberale nelle politiche sociali e liberista in economia. L'altra populista, sprezzante delle regole, vissute come impedimento alla realizazione del bene comune, da fare in fretta e ad opera dle capo. Le due destre, combinate con la terza, quella razzista, xenofoba della Lega, hanno via via parlato linguaggi sempre più diversi. Ne ho scritto in tempi recenti in un post riccamente commentato.

Fino a qualche giorno fa era davvero difficile prevedere una frana come quella d'oggi, spettacolare nel centrodestra, più pericolosamente silenziosa nel PD. La fine del sogno del bipartitismo potrebbe aprire la strada a un multipolarismo, oppure a forme di articolazione della politica che non riusciamo ancora a intravedere chiaramente.

Certo è che adesso i partiti - volenti o no - dovranno affrontare il tema di quale assetto istituzionale debba avere la nuova repubblica che verrà. Poi approvare una legge elettorale che serva allo scopo: esecutivo stabile, rappresentanza la più larga possibile. Un turno solo? Doppio turno alla francese? Preferenze o liste bloccate? Il rischio è che, anche questa volta, si riducano le riforme non più rinviabili a una questione di legge elettorale. Invece c'è la pluralità nell'emittenza televisiva, il conflitto di interesse, c'è la stessa idea di quale paese domani affronterà vent'anni di illusioni e con quale classe politica.

Mariano
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