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LA SCUOLA REPUBBLICANA MUORE [1]

Non è un'esagerazione, le cose stanno proprio così. In tanti lo sanno, parecchi lo avvertono e ne hanno terrore, qualcuno lancia grida d'allarme, qualcun altro fa il conto di quanto gli manca per andare in pensione, qualche genitore si trascina per i corridoi a pietire la promozione del rampollo, altri si lamentano per le condizioni di lavoro, per il numero di allievi per classe, perché "gli studenti non sono più quelli di una volta". Difficilissimo imbastire una reazione che vada oltre la pur importante manifestazione estemporanea del sabato pomeriggio o la partecipazione a qualche convegno/assemblea sul tema.
La scuola pubblica statale l'hanno smontata e adesso la stanno facendo morire. Chi? Il centrodestra? Magari fossero solo loro!
La Moratti prima e la Gelmini poi hanno lavorato con criterio e determinazione per disfare tutto senza un'idea di cosa metterci al posto, ma hanno trovato la collaborazione un po' di tutti i soggetti che con la scuola hanno a che fare. Le generalizzazioni falsano la realtà, con questa avvertenza passiamo a "fare l'appello".


Il mondo della politica si occupa della scuola meno che può. Sa che è una istituzione complessa, a metterci le mani si rischia di bruciarsele. meglio allora le sparate estemporanee sui grembiulini, sul bullismo, sui "giovani d'oggi che non hanno più voglia di lavorare", sul freno agli stranieri, il tutto condito con qualche frase generica sull'innovazione e sulle nuove tecnologie. In passato era un bel serbatoio di voti, coltivati con posti inventati per gli amici e i grandi elettori, con sanatorie che hanno immesso in ruolo e mandato nella aule di tutto e di più, ma allora andava bene a tutti, anche ai sindacati. Oggi, finito il tempo delle vacche grasse, l'attenzione della politica torna alla scuola solo quando è ora di risparmiare, di tagliare, di fare cassa.

Poi ci sono i sindacati - in testa quelli del personale della scuola - che hanno anche oggi un comportamento schizofrenico: non hanno ancora deciso se per insegnare ci vanno delle capacità, delle conoscenze, insomma una professionalità, oppure se basta il titolo di studio e basse pretese salariali. Soprattutto non hanno ancora deciso se tutelare allo spasimo gli occupati o preoccuparsi di occupare quelli che meriterebbero. Il ministro Berlinguer (ricordate? sembra un secolo fa...) è ancora lì a chiederselo adesso, visto che la sua riforma venne trombata dai sindacati proprio perché istituiva la valutazione dei docenti come meccanismo determinante gli scatti di carriera. Bizzarro che soggetti che valutano gli allievi per mestiere, rifuggano qualunque valutazione sul loro operato... e che i sindacati li spalleggino anche oggi!

Le famiglie sono davero la rappresenazione della società: frantumate anche quando la coppia sta insieme, disorientate, inadeguate e sovente preda delle pulsioni dei figli, soprattutto stordite dalla quantità delle sollecitazioni che le bombardano. Oscillano fra la severità rigorosa di chi non distingue i figli dal cane da addestrare perché non sporchi casa  e un'arrendevolezza che fa gridare vendetta. I pargoli crescono senza alcuna idea di autorità e si sbattono come pazzi per cercarne una, fosse pure di Forza Nuova, anche solo per opporvicisi. E' difficile, i genitori andrebbero orientati, aiutati a costruire modalità di gestione dei pargoli meno ansiogene, ma non lo fa nessuno, solo la rubrica della posta delle riviste femminili. Ecco a cosa servirebbe una scuola qualificata... per carità nessuna sostituzione di funzione, ma un appoggio nella gestione della formazione dei pargoli potrebbe essere d'aiuto. Lo fu certamente negli anni '70 quando la violenza dello sradicamento degli immigrati nelle città del nord produceva violenza e straniamento: la scuola ha avuto una bella funzione nel tamponare il fenomeno e sostenere l'integrazione. Ma se ne sono dimenticati tutti.

Gli insegnanti, divisi fra volontariato in eccesso e menefreghismo altrettanto esagerato, con salari che giustificano il disimpegno e modelli di comportamento che scoraggiano qualunque assunzione di responsabilità, ci provano. Qualche volta con impegno, qualche altra cercando di superare la paura degli allievi e delle reazioni dei loro genitori. Sovente autoreferenziali e preda delle proprie paranoie, quasi tutti sotto sotto convinti di meritare di meglio, geni incompresi e mortificati dalla dura quotidianità della didattica per asini in carriera. Ce ne sono ancora tantissimi che ce la mettono tutta sbattendosene degli sguardi di compassione dei loro colleghi più scafati e delle ramanzine della preside con cui non hanno ancora rinunciato a discutere.

Poi, alla fine ci sono loro: gli allievi, gli studenti, la materia prima. Esattamente come li abbiamo plasmati in vent'anni di tv commerciale, overdose di beni di consumo e rivalsa perché "mio figlio deve avere quello che io non ho potuto". Pantaloni a mezza chiappa, cervello in stand by ma pronto a riattivarsi di fronte a uno stimolo famigliare, stessa voglia di fare poco di tutti noi alla loro età e tanta voglia di capire un po' meglio come va il mondo, perché non c'è più nessuno che ne parla con loro. Non vogliono una lezione, ma un po' di relazione, di corrispondenza, di empatia, di educazione, di generosità. Non prediche, ma ascolto, non fratellanza, ma rigore, serietà e autorevolezza.. Giusto quello che a scuola manca drammaticamente sempre più.
Poi ci mancano i soldi, le strutture sono fatiscenti, l'orario... eccetera.

Ma questa scuola muore per sfinimento delle parti e per i troppi cappi al collo che tutti le hanno messo, anno dopo anno, governo dopo governo, contratto dopo contratto. Bastasse qualche soldo, potremmo confidare in un governo più sensibile.
Forse è davvero giunto il momento di smetterla con piccole correzioni, con obiettivi di basso profilo che ripristino lo status quo, correggendo le storture più evidenti.

E' ora di costruire la scuola pubblica dell'Italia repubblicana, quella che nel terzo millennio deve realizzare gli obiettivi della Costituzione. Come? Qualche proposta nella prossima puntata [fine prima parte]

Mariano
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