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NON FATE CINE!.

Anteprima

 

di Patrizio Brusasco

 

E' singolare che nessuno, a esclusione delle parti sensibili e verosimilmente lese da un qualche fatto, stigmatizzi reiterati accadimenti di cui non solo non se ne sente più la necessità, ma che hanno stufato di gran lunga, ultimo estremo retaggio di un mondo al contrario che sta per finire, se vuole continuare ad andare avanti.

E' la solita presunta saga dei furbi, di coloro che si adagiano sulle stereotipate consuetudini di marketing che, dalla rock star Madonna in avanti, hanno delimitato e codificato un modello di business che, se lecito per definizione, diviene nauseabondo allorché speculatore di disgrazie e di comportamenti al limite del buon gusto.

E' altrettanto vero che siamo talmente marci dentro da non riuscire neppure più a indignarci, dimostrando che tali atteggiamenti, che dovrebbero scuoterci dal nostro torpore eterno, sono probabilmente al loro epilogo.

Mi riferisco alla strumentale polemica del film sulla Thyssen del regista subalpino Calopresti e marginalmente alla cantante Madonna. Se la seconda è un prodotto ormai in declino avanzato da parecchio tempo, pur non perdendo la voglia di provocare il sacro o presunto tale, sempre per le solite logiche di profitto, che negli Stati Uniti sono come l'anima per un corpo, il primo, Calopresti, ha perso, a mio modesto avviso e stando a quanto si legge sui giornali,  un' eccellente occasione per mostrarsi in un modo affatto diverso dai soliti stilemi di oggi, in nome del dio denaro e della gloria, del successo e via dicendo.

Quello che è successo col suo film sulla Thyssen - che riportava la registrazione delle grida disperate di un operaio che, conscio di essere prossimo alla morte, invocava tragicamente aiuto - ha rivelato un animo banalmente qualunquista - che per un regista e un intellettuale è assolutamernte tragico - che di nulla si indigna in nome del box office e della notorietà, e non uso volutamente la parola fama.

Ora Calopresti pare fare retromarcia e voler dunque togliere le spaventevoli grida del giovane operaio, dopo- questa sì - l'ovvia indignazione della madre del giovane, poiché ora crede molto probabilmente di aver ottenuto il clamore necessario attorno a sé e al suo prodotto, e non uso volutamente la parola film, tronfio nell'aver, pure lui, usato i soliti squallidi e mediocri metodi pubblicitari, questa volta sulla morte - E CHE MORTE!-  di una persona.

Non vogliamo consigliare di non andare a vedere quel film per ripicca e per protesta, ma ci accontentiamo sic et simpliciter, di aver tolto il velo di maia, la maschera dal viso di un regista che ci aveva fatto pensare di poter essere diverso dal mondo in cui aveva scelto, dopo mille sacrifici e con tanta fortuna e quant'altro, di vivere.

Peccato, alla fine sono proprio tutti uguali!

 
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