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ASPETTI FISCALI DELLA RIFORMA PREVIDENZIALE COMPLEMENTARE.

di Dotturbo

L’attuazione della terza fase della riforma dei fondi pensione in meno di quindici anni consente di valutarne alcuni aspetti fiscali che paiono contraddistinguerla dalle precedenti per semplicità e, in parte, per convenienza.

Sin da quando la questione è stata affrontata in maniera organica nel 1993, il regime fiscale ha rappresentato un punto di rilevanza, ovviamente, fondamentale. Se il nuovo intervento legislativo non prevede grandi modifiche circa i contributi, in merito ai quali persiste la possibilità di dedurre dal reddito una somma di poco più di cinquemila Euro, senza quindi che siano pagate imposte a seguito del versamento al fondo fino a concorrenza di quella cifra, né rispetto all’aliquota dell’11% sui rendimenti dei fondi, che non è stata al momento ritoccata, alcune agevolazioni sono invece state introdotte con riferimento all’aspetto delle prestazioni, le quali tuttavia si applicheranno solamente alla parte incrementale della posizione previdenziale complementare maturata con decorrenza dal 2007. Pur con questo paletto, che crea un terzo regime fiscale ulteriore rispetto agli altri due succedutisi dal 1993 in poi in base al periodo di riferimento di accumulo del capitale, gli elementi innovativi sono di una certa rilevanza.

Se fino ad oggi il calcolo dell’imposizione fiscale risultava complessa ed ostica da un punto di vista di trasparenza in quanto assimilabile ai computi previsti per i Trattamenti di Fine Rapporto, l’attuale riforma, pur col vincolo dell’imposizione di destinare almeno metà del capitale maturato a rendita, risulta di facile concezione da un punto di vista dei conteggi e fondamentalmente conveniente. In relazione a quanto introdotto da questa terza fase della riforma, le prestazioni saranno tassate a titolo d’imposta definitiva del 15% massimo, riducibile sino al 9% con riferimento alla durata della partecipazione al fondo. L’unico aspetto che presenta una certa pesantezza da un punto di vista della fiscalità sulle prestazioni è riferibile al regime delle anticipazioni, previste per acquistare per esempio la prima casa o per altri casi specifici, che sono gravate da una ritenuta quasi doppia, pari cioè al 23%.

Detto questo, non è che si siano ottimizzati tutti gli aspetti fiscali. Altro resterebbe da fare, per esempio, in merito alle ritenute sui rendimenti dei fondi che mantengano posizioni poliennali su investimenti azionari. Sulla base di quanto introdotto di recente in Francia circa i trattamenti ordinari sui reddito di capitale, sarebbe opportuno differenziare le ritenute in base al tempo di conservazione dei diversi pacchetti azionari, andando ad annullare sostanzialmente l’ imposizione dopo, per seguire l’ipotesi, sette anni. Cosi facendo, si andrebbero a creare condizioni che migliorino la stabilità dei mercati, dal momento che i fondi tenderebbero sempre più a svolgere una funzione di calmiere sulle violente oscillazioni. Cosicché, l’Erario si ritroverebbe a vedere ridotti i periodi in cui, a causa di cali drastici e durevoli dei mercati azionari generanti "capital losts" (come accaduto dal 2001 al 2005), l’introito dai redditi di capitale per l’erario diminuisce in maniera consistente e persistente.

 
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