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LA DURA LEGGE DEI PADRI.

Alla storia di Hina, la ragazza pakistana uccisa dal genitore perché aveva rifiutato la vita che la sua tradizione avrebbe imposto, fa eco dalla Gran Bretagna l’episodio più recente di una giovane inglese nata da un matrimonio misto, la cui madre ha denunciato il rapimento da parte del padre per portarla con sé in Pakistan, a sposare l’uomo che ha scelto per lei. Casi estremi di un fenomeno diffuso, queste storie suscitano nuove ansie e portano alla luce un nuovo aspetto del difficile processo di incontro tra la cultura occidentale e l’islamismo.

Quanto più minacciata dal rischio della contaminazione, ogni cultura tende a un irrigidimento che sfocia in un’adesione accanita ai dettami tradizionali. È in gioco un valore primario: si percepisce il rischio della perdita dell’identità. Questi casi recenti non sono altro che le risposte più estreme a tale impulso secondo cui la legge dei padri va difesa e perpetrata a tutti i costi, fino al sacrificio umano.

Una voce che proviene dal cuore dello stesso Islam evoca l’unica alternativa possibile. Nagib Mahfuz, il premio nobel per la letteratura di origine egiziana scomparso nei giorni scorsi, non di rado si è confrontato con il tema morale dell’applicazione della legge. In Notti delle mille e una notte, l’ideale proseguimento del testo letterario fondante della cultura araba, avviene il dialogo tra Gamasa, capo della polizia e Singàm, un genio che taccia quest’ultimo di compiere massacri e torture efferate in nome di un’autorità abusata. Quando Ganasa ribatte "Noi crediamo nella misericordia anche quando mozziamo i colli e tagliamo le teste", Singàm domanda: "Svolgi il tuo dovere in modo di compiacere Allah?". "Il mio dovere è eseguire gli ordini" risponde l’altro. Il genio, laconico: "Frase perfetta per compiere ogni genere di misfatto". Quando la legge assurge a fine e diventa più importante della coscienza di un uomo, succedono disastri.

Eva Milano

 
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